Dodici mesi di tempo

Vorrei ricevere una lettera. 

Nel 2024. 

Una bella e lunga lettera. 

Credo non succeda dagli anni ’90.

Dicevo, dunque, una missiva. Nella buca delle lettere o pinzata sotto il tergicristallo. Cioè. In realtà preferirei maggiormente fatta scivolare in gran segreto dentro la borsa in un momento di disattenzione o ancor più infilata rapidamente nella tasca del cappotto mentre mi passate accanto. Niente di annunciato insomma. In una elegante busta quadrata, non rettangolare, sulla quale vergherete solo il mio di nome, il destinatario. Niente mittente. Non svelatevi subito. Scoprirò chi siete solo a lettura finita. Qualora vi voleste firmare. Dovreste usare il corsivo, non amo lo stampatello. Un corsivo pacato, di inchiostro nero, quasi da pennino. Senza macchie di sbavatura se possibile. Nel caso contrario, per favore, fatele accidentalmente ad arte! E per evitare fastidiosi contrasti periodici con la china, non di colore bianco ghiaccio, la busta, suggerisco. Non quelle da biglietto di Natale per intenderci. Per la carta fate voi. Se volete azzardare strappate un foglio di quaderno. Meglio a righe. Che la perfezione dell’involucro, quasi d’altri tempi, si ridimensioni nella materia contenuta al suo interno. Come i nuovi film storici dalle colonne sonore oltremodo contemporanee. Potete anche cambiare penna, usare una Bic. Come se la lettera fosse decisamente staccata dalla busta. Due momenti diversi. Quasi a percepire un’indecisione nel recapitarmela. E poi concentratevi sul testo. Che sia di una rude, moderna poeticità. Non in rima quindi. Raccontatemi di voi, di quel voi che coincide con la mente. Perchè del cosa avete fatto oggi o farete domani poco me ne faccio. Vorrei pensieri che possano diventare materia tangibile, che si compongano a mezz’aria mentre rilevo parole adattandomi alla calligrafia. Ecco, scrivete con calma. Che la quiete traspaia quasi come un aroma che profuma l’aria mentre gli occhi veloci passano da segno a segno. E li aiuti, tale quiete, a ridimensionare il ritmo, aggiustandoli su un moderato allegro ma non troppo. Esatto! Siate allegri, dettatemi il ritmo, donatemi una lettura danzante. Parlatemi di anima, di sogni, di civiltà perdute o mai esistite nelle quali vi rispecchiate. Anche a vostra stessa insaputa. Staccatevi dal concreto, narratemi la vostra, di percezione di realtà. Cosicché io possa capirvi e capire. Altri punti di vista. Altre vite all’interno del mondo che condividiamo. Ma non come case dentro le quali sbirciare. Quello no. La lista della vostra spesa che rimanga fissata sul vostro frigo. Non mi interessa cosa mangiate, ma ciò che vi nutre. Spiegatemi quel voi che da soli non avete il coraggio di descrivervi. Anche se ne avreste la possibilità ogni mattina, quando vi guardate allo specchio e scegliete invece di indossare sempre la medesima armatura del ieri.

Dodici mesi per una lettera. 

Dico. 

Avete tempo. 

Voi.

Grazie.

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