Kintsugi

La legge di Murphy ci insegna ogni santa mattina che se qualcosa deve andare storto, bisogna essere ottimisticamente sicuri che andrà storto!

E così l’altro giorno, giusto per accertarsi che non me ne fossi dimenticata, mi si sono rotte due delle quattro o cinque cose materiali a cui tengo veramente. Posizionate nelle parti meno frequentate della credenza, hanno compiuto mirabolanti tuffi carpiati per riuscire a superare le millecinquecento cianfrusaglie di cui non me ne frega un fico e si sono suicidate sul pavimento.

Congelata di fronte ai cocci, per un istante ho creduto davvero di cedere all’istinto omicida verso colui che si trovava davanti e con le mani infilate nel mobile. Reo di aver scosso invisibili equilibri e soprattutto di aver evocato così il nostro amico Murphy! Che ringrazio pubblicamente.

Ma… perchè c’è sempre un ma… questa volta il cervello inaspettatamente mi è venuto in soccorso all’istante e dal database ha estrapolato in pochi secondi la soluzione ideale per farci sopravvivere tutti e in buone -al momento- condizioni.

O forse non è stato un gesto di affetto nei confronti della padrona quanto più un liberarsi delle innumerevoli info che gli sbatto continuamente dentro e che lui si deve poi con santa pazienza catalogare. Forse sì… è stato più un istintivo rigetto che non un supporto!

Comunque sia…

Il kintsugi è l’arte giapponese che suggerisce di riparare la cose rotte ricomponendole e saturando le spaccature utilizzando una pasta composta da polvere d’oro. In modo che le crepe si vedano e rendano più prezioso l’oggetto. Il danno crea una nuova vita e a tutto si può rimediare senza dover nascondere le cicatrici che inevitabilmente resteranno. Anzi eleggendole a punti di forza.

Perciò raccogliendo i vari pezzi ho notato che non si erano scheggiati e che quindi, sì, avrei potuto ricongiungerli ed impreziosirli e l’evento non si sarebbe dimenticato ma intelligentemente superato.

Una tecnica interessante che si potrebbe applicare in ogni campo, umanità compresa.

Tante volte ci rompiamo a vicenda e poi ci allontaniamo ognuno leccando se stesso, pezzi di puzzle mai più incastrabili. Errore. Basterebbe un pennello, la voglia di riposizionarsi correttamente e premere un po’ l’uno verso l’altro per far saldare il tutto. Nulla cadrebbe nell’oblio. Ma nel riguardarsi, si potrebbe trovare un po’ di bellezza nell’inciampo, dandogli magari finalmente un senso. Così come guardando all’altro, si potrebbe constatare che tutti siamo attraversati da crepe mal curate e soprattutto, con vergogna, mal celate.

I colori da applicare potrebbero essere davvero infiniti. Non necessitiamo obbligatoriamente dell’oro. Ognuno potrebbe usare il suo preferito. E finalmente la razza umana diventerebbe una bellissima mappa da consultare. 

(Dedico questo post a tutte quelle persone che in questi ultimi anni non si sono accorte di avermi in qualche modo spezzato. Che non si sono accorte del pennello che ho porto loro e dello splendido colore che impreziosiva le setole. Della vernice che hanno lasciato cadere a terra sprecandola. Delle spaccature mai riempite. E lo dedico anche a me stessa, per tutte quelle volte che sono stata incapace io di rintracciare e ritracciare linee che avrebbero riunito, rinsaldato e risaldato.)

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