È l’ora della pausa caffè.
Che ne dici?
Alla macchinetta? Mmmm…
Sei sicuro?
E se invece ti proponessi di salire lassù a guardare tutti dall’alto, gli altri, piccoli piccoli, confusi in spazi stretti, mentre noi invece avremmo l’infinito intorno? Per pochi momenti?
Dai che non c’è nessuno, guadagnamo la scala, in una volata ci mangiamo i pioli, uno via l’altro e siamo arrivati.
Fidati e sali.
Non è bellissimo qui?
Ci sono anche le giostre, quelle di ferro, semi arrugginite, di quando eravamo piccoli. Che se le beccavi sullo stinco erano lividi perenni.
Lascia stare lo zucchero filato, andiamo su quella che gira che non ho mai imparato il nome. Quella col volante al centro che ci si metteva una vita per capire da che parte ruotare tutti insieme tanto eravamo coordinati! Guidi tu, io ti seguo. E prendiamo velocità, che iniziamo a ridere senza senso. E stacco prima io le mani perchè già la testa è persa. E tu poco dopo perchè ormai va da sola e sfumano i contorni di ciò che ci circonda e gli occhi si chiudono che quasi viene la nausea.
E quando li riapro già non ci sei più che l’altalena ti aspettava.
E io, fifona, attendo ancora un minuto perchè a buttarmi giù, che ancora gira, mi sembra un’impresa titanica. Ma poi l’istinto e via, salto ed ecco terra: non ho neanche sbattuto.
Ma stai andando in piedi sull’altalena?
No! io mi siedo al contrario. Aspetta che mi incastro qui dentro, che passo sotto alla catenella ste gambe che sono così lunghe ora, che non me lo ricordavo più quanto era stretto il sedile.
Che inizio a spingere, che i piedi poi toccano solo più con le punte e poi non più. Che chi va sono i reni e la schiena che si inarca a farmi dondolare avanti ed indietro.
Chissà perchè ho di nuovo la testa tutta all’indietro mentre continuo a ridere.
Chissà perchè quando si è contenti si butta sempre la testa all’indietro…
Mamma mia come siamo in mezzo al blu che non si vede più nessuno, che si incrocia al massimo qualche rondine e ai nostri occhi si mostrano solo le nuvole. Mamma mia che si sentono solo le nostre voci che trillano e si perdono tanto è immenso qua in alto.
Ma è un battito che dobbiamo tornare. Il rintocco arriva lontanissimo però arriva e allora si deve frenare che le scarpe si riempiono di sabbia, che si deve fare in fretta, che si deve andare.
Aspettami! Sei già allo scivolo? Dammi, ancora un secondo, non partire da solo. Ho il fiatone, ma su scansati, fammi spazio che scendiamo insieme, a trenino. Io dietro. Ma che davanti?! Te l’ho detto che sono fifona, mi attacco alla tua maglia, allungo le gambe, pronto? Dai parti che facciamo tardi.
Ed eccoci di nuovo giù. Precisi, ordinati, compìti. Chi direbbe mai dove eravamo un attimo fa. Forse neanche noi. Adesso che siamo qui, incanalati. Però muovendoci sappiamo di aria. Unica cosa che ci resta di questa pausa caffè. Odoriamo di ARIA. Quella tersa. Quella di montagna quando le giornate sono così limpide che respirare graffia il naso. Quell’aria lì. Che chi rimane davanti alla macchinetta del caffè non può e non potrà mai percepire.