If it is textable, don’t call me.
Sparava questo la scritta in font lineare bianco sulla felpa azzurro scuro elettrico appesa in bella vista sul muro del negozio. Si faceva notare ed infatti l’ho fissata per svariati istanti… Ma poi no… non mi piace, ho pensato… il significato. Semplicemente quello e mi sono allontanata.
Potrei avallare la mia tesi contraria a tale concetto elencando le infinite limitazioni d’espressione che le parole scritte, se non allineate da sapienti penne, possono presentare. Portare differenti esempi, miei, altrui. Su tematiche sensibili così come su quelle generiche. Argomentare le innumerevoli falle, i misunderstanding. E concludere, se necessario, con considerazioni personali. Un mix fra oggettivo e soggettivo, come nei temi.
Invece lascio perdere.
Ne faccio anche io svariato e continuo uso, diventato -ammetto- esagerato in alcuni momenti. Così decido un bel momento di contenerlo, questo uso. Questo WhatsApp ormai troppo invasivo nelle nostre vite. E girare la testa altrove quando vedo il mondo costantemente in modalità online. Non vi guardo, mi rivolgo ad altri panorami.
Ovviamente voi fate un po’ come vi pare -altra notevole massima da imprimere su ogni indumento indossato giornalmente oppure proprio sull’epidermide-. Nel mentre io archivio. Gruppi, contatti. Così leggo solo talvolta e tutti assieme, per ottimizzare e razionalizzare. Le cose davvero importanti in qualche modo ci arrivano. Riescono sempre a raggiungerci in tempi brevissimi. Non c’è da preoccuparsi. E poi nel caso si può sempre alzare la cornetta, no?
‘Even if it is textable, please call me’, preferisco quindi. Aggiungendo anche il please.







